Gaspare Campari: Un Sogno Fino Al Tetto Del Mondo

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Lo sentiva già dentro di sé, probabilmente, quando a quattordici anni decise di migrare in città. Lui che era il decimo figlio in una famiglia di piccoli proprietari terrieri capì forse subito che la sua missione si sarebbe compiuta ben lontana dal lavoro della terra. Scelse, o magari fu scelto, e appena ragazzino si spostò a Torino, allora roboante capitale del Regno di Sardegna: mangiava poco e lavorava molto, seguendo le vibrazioni della sua ispirazione che lo aveva portato a bottega da un fautore della dolciaria storica, l’italo-svizzero Giacomo Bass (pare sotto spinta del pasticcere ufficiale di Casa Savoia).

Si sarebbe dedicato agli altri, in qualche modo, e lo aveva intuito con tale naturalezza da non sentire la fatica delle notti trascorse ad assaggiare e replicare, riempiendosi i polmoni e le idee con gli aromi che lo avrebbero accompagnato da lì in avanti. Otto anni di pratica e sogni fino al grande passo: viaggiò ancora, muovendosi cento chilometri più a nord, a Novara, dove la sua anima accogliente e aperta finalmente trovò una tela intatta su cui pennellare con una tempera rossa che soltanto lui conosceva. Perché era stato lui, nel primo bar che aveva aperto e curato in proprio, ad averla inventata.

Ne aveva realizzate più d’una, in realtà, ma nessuna sua creazione arrivò mai al successo strepitoso che tra i suoi clienti abituali suscitò il Bitter all’uso d’Hollanda, poi scolpito nella storia con il suo stesso cognome. Cascarilla e chinotto, la cocciniglia naturale degli insetti rossi, le circa sessanta erbe aromatiche che aveva studiato da giovanissimo, e il desiderio di sorprendere chi gli voleva bene, i suoi avventori, con un prodotto che in un solo sorso fosse ogni volta riconoscibile ma mai scontato.

Fu un trionfo che giustificò il fremito insolito dei suoi occhi a ogni progresso nella ricetta, e che celebrò l’emozione di vedere i volti dei suoi ospiti distendersi in sorrisi genuini a ogni richiesta di un altro giro. Si ricordò probabilmente delle sue origini in fattoria, con un brivido soddisfatto, quando sbarcò a Milano e fondò l’azienda sua omonima, oggi sul tetto del pianeta beverage: l’anno successivo andava unificandosi il Regno d’Italia di cui divenne ambasciatore nel mondo, con la livrea iconica di un prodotto diventato eterno, grazie alla visione ancor più ampia del figlio che prese le redini dopo di lui e fondò una Mecca del bere moderno.

Volle il colore del coraggio e dell’amore, quelli che mostrò per tutta la vita verso i suoi clienti e i suoi progetti; cementò il rito dell’amicizia e del vivere sereno, suonando le prime note dell’aperitivo italiano che è sopravvissuto a qualsiasi difficoltà e ancora scandisce i ritmi delle nostre vite; fu esempio della lungimiranza di una mente che diede vita al prodotto più rinomato del mondo del bar. Gaspare Campari nacque oggi, centonovantatrè anni fa: e continua a vivere nella gioia di chi sa gustare il suo bitter senza tempo, ogni giorno.

Articolo a cura di Carlo Carnevale