Mauro Majhoub E L’evoluzione Del Bar

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Oggi Global Campari Academy Advisor, Mauro Majhoub ha cominciato la sua carriera nel bar nel 1989. È tornato in Italia dopo una vita trascorsa in Germania: “Vorrei rivedere l’ospitalità che si percepiva prima. I bartender non devono mai perdere di vista l’obiettivo principale: la soddisfazione dell’ospite”.

COME È STATO – Trent’anni o poco più, trascorsi dietro al bancone: significa testimoniare i tempi che cambiano, le evoluzioni di un mestiere vecchio come il mondo, e che pure non finirà mai di migliorarsi. Mauro Majhoub è uno dei nomi più noti del panorama del bartending mondiale: Global Campari Academy Advisor, forte di un’esperienza ormai cementata in Germania (con più bar gestiti a Monaco di Baviera) e oggi di nuovo in Italia, a Giulianova. Un pellegrinaggio che lo ha portato ai vertici dell’universo bar, dal quale ha osservato la crescita della figura del bartender.

“Fino agli inizi degli anni 2000, potevamo definire la categoria dei bartender come smarrita. Non esisteva, ovviamente, la comunicazione di cui ci si può servire oggi; ci si incontrava quasi esclusivamente durante concorsi o convegni, erano quelle le occasioni di scambio. La svolta è arrivata quando i brand hanno intuito di dover fare di più, con masterclass, corsi, attività: Campari Group è stata pioniera, ha permesso ai bartender di avvicinarsi alla professione e di accorciare le distanze tra loro. Le competizioni, per dirne una, hanno aiutato moltissimo”.

COSA MANCA – La miscelazione nostrana sta facendo enormi passi in avanti, sia sul piano tecnico che su quello culturale. Qualcosa di certo ancora manca, per i bartender. “In Italia eravamo in una sorta di guscio, che si è poi finalmente schiuso. È esploso, anzi. I nostri bartender erano letteralmente onnipresenti sulle crociere o negli alberghi, ma si stentava a creare legami veri e propri, un sistema. Negli Stati Uniti lo hanno fatto, invece, e insieme a una profonda rivalutazione della miscelazione, è stata questa la chiave per il successo dei professionisti e dei bar d’oltreoceano. In Europa, e in Italia nello specifico, stiamo cominciando a cambiare le cose adesso, perché è evidente che solo una competizione sana può aiutare a crescere”.

È ovviamente un processo senza una vera fine, perché lo sviluppo della professione va di pari passo con il momento storico: “Il bartender è diventato un tecnico, non più solo un addetto alla mescita, come è spesso stato visto in passato. Negli ultimi anni si sono evolute le tecniche e le modalità di lavoro, e ogni filone del mondo bar ha contribuito a formare la scena che vediamo oggi: flair e molecolare possono aver avuto un abbrivio breve, ma sono state comunque parti integranti del movimento. Oggi si vira molto di più sullo studio, sulla materia prima, sull’impiego di tecniche prese in prestito dalla cucina, come il sottovuoto o la centrifuga”.

L’OBIETTIVO – Sono tasselli di un puzzle che racconta del bar come finalmente un luogo in cui poter fare carriera, formarsi e crescere come professionisti. Ma attenzione a non cadere nel tranello, e tralasciare l’elemento fondamentale: l’ospite. “Il consumatore potrebbe non essere ancora pronto per queste innovazioni, perché il bar è un universo che si modifica rapidamente a volte, e troppo spesso sono gli operatori del settore a recepire i cambiamenti, per primi. I bartender dovrebbero fare di più per dare nozioni agli ospiti con calma, senza dare per scontato possano conoscere ogni termine o concetto. E più in generale avere come obiettivo finale, sempre, la loro soddisfazione”.

C’è qualcosa che in trent’anni, è andato perdendosi, e che adesso sarebbe il caso di riportare in auge? “Io ho iniziato nell’89. E ho da subito, sempre, sostenuto il valore dell’ospitalità. Oggigiorno il bartender corre il rischio di sentirsi troppo protagonista, quasi desiderasse essere il dettaglio più importante del bar. E facendo così ottiene l’effetto opposto, la personalità si concentra sull’interno e non sugli ospiti, quindi rimane chiusa e non si esprime. Non viene a crearsi l’atmosfera da bar, non c’è scambio. E così si perde tutta la magia”.