Minakshi Singh: “Ho superato grandi ostacoli per aprire i miei bar in India. Spero di ispirare altre donne” 

Cover 1920x1080 2 e1713167410258

La co-fondatrice di Cocktails&Dreams Speakeasy e Sidecar in India, Minakshi Singh, è leader in un mercato dove essere una donna al bancone implica movimenti culturali e legali. In questo articolo racconta come, contro ogni aspettativa, ha costruito il suo business.

Ho cominciato il mio percorso in questo settore mentre frequentavo la scuola alberghiera: lavoravo come bartender freelance agli eventi per mettere da parte del denaro. Nel corso di un anno, mentre crescevo e mi formavo, ho capito quanto mi piacesse lavorare al banco, e dopo essermi laureata con la possibilità di seguire un programma di formazione per hotellerie, mi sono dedicata al bartending a tempo pieno. 

All’epoca in India (era la metà degli anni Duemila) c’erano ben pochi cocktail bar classici, e quelli che esistevano erano all’interno di alberghi di lusso. L’approccio al bartending guardava più al flair e meno alla miscelazione contemporanea. C’era, in ogni caso, un gruppo di bartender e scuole per bartender piuttosto noti all’epoca, e l’India si stava appena aprendo ai brand internazionali che cominciavano a portare con loro formatori e brand ambassador. 

La mia conoscenza del settore era limitata e riuscivo a informarmi sulla scena mondiale del bar solo grazie ad alcune newsletter (ero una avida lettrice di Gary Regan, Dale DeGroff, Camper English e altre leggende del nostro settore). Volevo costruirmi un’azienda in india, perché non avevamo mai avuto bar di quartiere, accoglienti, che servissero cocktail. A dirla tutta, prima che fondassimo il nostro primo bar (Cocktails & Dreams Speakeasy) nel 2012, non esistevano bar di proprietà di bartender.  

Nei primi quattro anni nel settore incontrai una sola donna, Ms Shatbhi Basu, una bartender e formatrice molto rispettata. La visibilità è estremamente importante, se non vedi tuoi simili nel settore diventa difficile immaginarci anche te stessa.

In quanto donna che lavora al bar ho sempre ricevuto un certo tipo di sguardi, e mi sono spesso sentita chiedere se fossi nel posto giusto. Ho capito presto il perché: in India era illegale per una donna lavorare al bar. La legge è stata cambiata solo nel 2010 e ancora oggi, in alcuni stati dell’India, alle donne non è consentito servire alcolici. 

Fortunatamente, l’atteggiamento da allora è cambiato molto (almeno nelle grandi città e aree metropolitane). Gli ultimi dieci anni hanno visto una crescita supersonica per noi, in quanto a bar, talento, uguaglianza, qualità e richiesta di prodotti d’alto profilo. Adesso si notano molte più donne in ruoli manageriali e proprietarie di aziende. Dopo il Covid, molte più giovani donne, laureate anche, si sono unite al settore, ed è confortante saperlo. 

Esistono però ancora barriere per le donne nel settore bar, in India. Prima di tutto la sicurezza, probabilmente il deterrente principale: la responsabilità ricade sul datore di lavoro, e questo implica che il costo per l’assunzione di una donna è maggiore. Come risultato, si vedono ancora più donne lavorare negli alberghi, dove hanno infrastrutture molto migliori a supportarle, come navette notturne e autisti. 

La seconda problematica più grande è la mancanza di opportunità per essere visibili. Dato che la legislazione che permette alle donne di lavorare nel settore, in India, è piuttosto recente, servirà del tempo a noi donne per consolidarci la nostra presenza, per questo credo fermamente che avremo bisogno di sostenere la causa tutte insieme.

Io, ovviamente, ho dovuto superare grandi ostacoli per affermarmi nella mia carriera. Mentre avviavo la mia attività, il problema più grande era guadagnare credibilità. Avevo 28 anni ed ero una donna, peraltro una che non si tira indietro. Ogni volta che cercavo di farmi valere, erano davvero in pochi quelli che mi ascoltavano o prestavano attenzione. Quando all’inizio incontravamo funzionari governativi per licenze e burocrazia, davano per scontato io fossi la segretaria di qualcun altro. Mi faceva infuriare, ma mi ha anche insegnato a essere concreta e gestire con calme situazioni che richiedono maturità.

L’altro scoglio per noi donne nel settore è sempre stato il pregiudizio sessuale nei confronti delle donne che lavorano nell’industria degli acolici, solitamente per la natura del prodotto, ma anche per il retaggio culturale che ci portiamo dietro. È ancora illegale fare pubblicità sull’alcool in India, e abbiamo parecchie leggi che ne regolano la vendita, distribuzione e le tasse. Per di più, una donna che lo vende? Sospettoso. 

Fortunatamente, ho avuto enorme supporto dai miei genitori e da mio marito, che mi ha sempre incoraggiato nel corso della mia carriera. È un padre meraviglioso per il nostro figlio di sei anni e sono certo abbia fatto molto per coprire la mia assenza. Si impara a chiedere aiuto agli amici e ai cari, ed è naturale farlo: è difficile essere una madre, con tutto il lavoro che c’è.

Sono nel settore da vent’anni ormai e devo ancora dimostrare il mio lavoro, la mia posizione, la mia conoscenza, è stancante. Ma direi: “Non smettete mai di sognare”. Volevo aprire un bar a diciotto anni, l’ho fatto a ventotto. Avevo così tanta passione per il mio sogno che quasi potevo assaporarlo, era reale per me. A prescindere da ciò che fai, dal momento della tua vita in cui ti trovi, ricorda che è tutto possibile